Eliminare notizie da Google: leggiamo questi provvedimenti del Garante

9 Ottobre 2023
Cancelliamo i Dati Indesiderati
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Al giorno d’oggi, l’accesso a informazioni e notizie è diventato più semplice che mai grazie ai motori di ricerca come Google. Tuttavia, la facilità con cui si possono trovare informazioni online ha portato a una serie di sfide in termini di privacy e protezione dei dati personali. In Italia, l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (di seguito Garante) svolge un ruolo fondamentale nella regolamentazione di tali questioni. Il riferimento va alla questione del diritto all’oblio che, nei casi prvisti dal Regolamento, consente di eliminare notizie da Google.
I motori di ricerca e l’attenzione per la privacy online
I motori di ricerca, tra cui Google, svolgono un ruolo cruciale nell’agevolare l’accesso alle informazioni su Internet. Tuttavia, il crescente volume di dati pubblicati online ha sollevato questioni importanti in merito alla privacy delle persone coinvolte. In particolare, i risultati di ricerca possono includere informazioni personali sensibili che potrebbero danneggiare la reputazione di un individuo o violare la sua privacy.
È in questo contesto che il Garante ha adottato provvedimenti mirati a bilanciare la libertà di informazione con la necessità di proteggere la privacy dei cittadini italiani, attraverso il diritto all’oblio. Questi provvedimenti offrono un quadro normativo per la rimozione di informazioni sensibili dai risultati di ricerca di Google e di altri motori di ricerca.
I maggiori provvedimenti del Garante
Il Garante Privacy, autorità indipendente di particolare importanza nel panorama della privacy e del GDPR, ha adottato una serie di provvedimenti chiave per affrontare la questione rispetto al fatto di poter cancellare informazioni da internet e dai motori di ricerca. Basti pensare che nel 2014, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJUE) ha stabilito che i cittadini europei hanno il diritto di richiedere la rimozione di link a informazioni obsolete o non più rilevanti dai risultati di ricerca di Google.
Questo è noto come il “diritto all’oblio”. Il Garante ha implementato questa decisione e ha stabilito un procedimento per i cittadini italiani che desiderano esercitare questo diritto. In seguito, il Garante ha definito linee guida specifiche per la rimozione di informazioni sensibili dai motori di ricerca. Questi contenuti possono includere dati personali come l’orientamento sessuale, le opinioni politiche o religiose e altre informazioni particolarmente sensibili. La rimozione di tali informazioni è consentita solo in determinate circostanze.
Ancora, l’Autorità indipendente ha chiarito che la rimozione di informazioni dai motori di ricerca deve essere basata su una valutazione del trattamento legittimo dei dati. Ciò significa che i cittadini possono richiedere la rimozione di informazioni solo se possono dimostrare che il loro diritto alla privacy supera il diritto del pubblico ad accederealle stesse. Il Garante, poi, ha stabilito che le richieste di rimozione e le decisioni in merito devono essere pubblicate in modo da garantire la trasparenza e il controllo pubblico.
Il provvedimento del Garante in cui il ricorrente smentisce accuse false
Nel corso di un recente procedimento, il ricorrente ha presentato una denuncia al Garante per la Protezione dei Dati Personali, sostenendo che gli erano stati attribuiti “fatti e circostanze assolutamente false e prive di fondamento” in un commento a un articolo online. Il ricorrente ha fornito prove concrete per contestare tali accuse, dimostrando che le affermazioni pubblicate erano errate e diffamatorie.
In risposta alle richieste del ricorrente, la parte resistente ha fornito un riscontro adeguato e ha proceduto con la rimozione del contenuto diffamatorio, portando il caso a una conclusione positiva. In tal caso, il ricorrente ha sostenuto che, in uno dei commenti posto a conclusione di un articolo oggetto di ricorso, erano state riportate accuse infondate e dannose nei suoi confronti.
In particolare, ha contestato la falsa affermazione che fosse stato il proprietario personale di un immobile locato a un noto politico, specificando come un’indagine fosse stata avviata dalla Procura della Repubblica di Roma in merito a questa vicenda, ma successivamente era stata archiviata. Ancora, ha contestato la menzione di una sua presunta implicazione con un noto capomafia, come riportato in un articolo precedente su “Il Giornale”, sottolineando che non era mai stato imputato né semplicemente indagato per tale questione.
In seguito alle azioni della parte resistente e alle prove presentate dal ricorrente, il procedimento si è concluso in modo positivo per quest’ultimo. La rimozione del contenuto diffamatorio è stata una vittoria per il ricorrente, che ha visto cancellare notizie da Internet, ottenendo la rimozione di informazioni false e dannose a suo sfavore.
Richiesta di rimozione di notizie online: l’immagine professionale
Nel caso di specie, si è verificato un problema relativo all’immagine professionale del ricorrente ed alla sua privacy a causa della persistente associazione del suo nome con notizie di cronaca giudiziaria risalenti al 1998. Questi eventi giudiziari si sono conclusi nel 2006 con l’assoluzione del ricorrente. Nel corso del procedimento, sono state presentate richieste di rimozione di determinati URL che contenevano le notizie in questione.
Tuttavia, alcune di queste richieste sono state giudicate inammissibili, perché non erano state oggetto di una previa richiesta di interpello preventivo, ma sono state comunicate direttamente tramite il ricorso. Questo particolare caso mette in evidenza l’importanza di trovare un equilibrio tra il diritto alla privacy e il diritto del pubblico ad accedere a informazioni di interesse pubblico.
Nel valutare le richieste di rimozione di contenuti online, è necessario considerare attentamente i dettagli specifici di ciascun caso e gli interessi in gioco, assicurando che l’informazione rimanga accessibile quando vi è un interesse legittimo da parte del pubblico. Nel caso di specie, guardando alle linee guida delle Autorità di Protezione dei Dati che mirano a deindicizzare informazioni obsolete e inesatte, il Garante ha deciso quanto segue:
a. Ha parzialmente accolto il ricorso, ordinando a Google di rimuovere, entro venti giorni, l’URL indicato al secondo punto dell’elenco.
b. Ha dichiarato inammissibile il ricorso per gli URL indicati al primo punto e dal terzo al sesto, poiché non sono stati oggetto di interpello preventivo al titolare del trattamento.
Richiesta di rimozione di URL ed applicazione del diritto all’oblio
Nel contesto di questo specifico provvedimento, ai sensi degli articoli 7 e 8 del Codice in materia di protezione dei dati personali, il ricorrente ha avanzato le seguenti istanze:
- In primo luogo ha chiesto la rimozione di un URL specificamente identificato, collegato a contenuti relativi a una vicenda giudiziaria in cui è stato coinvolto.
- In secondo luogo ha chiesto la liquidazione delle spese del procedimento a proprio favore.
Il ricorrente ha sostenuto che l’URL in questione rinviava ad un articolo pubblicato su “Get Surrey” nel febbraio 2017, relativo a una condanna per detenzione di materiale pedopornografico in Gran Bretagna. Ha affermato che la persistente diffusione di questa notizia, a distanza di oltre sei mesi dalla conclusione del caso giudiziario, stava causando danni significativi alla sua vita familiare, relazionale e professionale, sottolineando che non riveste alcun ruolo nella vita pubblica.
Inoltre, lo stesso sosteneva che i criteri per l’applicazione del “diritto all’oblio” erano, nel suo caso, pienamente soddisfatti, facendo riferimento alla sentenza “Costeja” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e alle Linee Guida adottate dal Gruppo art. 29.
La richiesta del ricorrente riguardante la rimozione dell’URL sarà esaminata alla luce dei criteri stabiliti dalla sentenza “Costeja” e dalle Linee Guida WP 225 del Gruppo art. 29. In particolare, il tempo trascorso rispetto ai fatti oggetto delle notizie e l’interesse pubblico alla notizia saranno fattori determinanti nel processo decisionale, ma in questo caso, secondo il Garante non sufficienti, quindi, per questi motivi ha ritenuto il reclamo infondato.