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Cancellare notizie da internet, provvedimenti del Garante

Cancellare notizie da internet, provvedimenti del Garante

By Avv. Ludovica Marano

Cyber Lex
Cancelliamo i Dati Indesiderati
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Il diritto all’oblio, previsto nell’Articolo 17 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), rappresenta uno dei principi fondamentali della tutela della privacy e dei dati personali nell’era digitale.

Questo conferisce ai cittadini europei il potere di richiedere eliminare notizie dal web, nonché la  propri dati personali, ponendo in risalto il loro controllo sulle informazioni che circolano sul web. Nell’articolo di oggi, approfondiremo la questione relativa a cancellare notizie da Internet, provvedimenti del Garante.

La normativa di riferimento per il diritto alla cancellazione dei propri dati personali: uno sguardo all’art. 17

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati personali, anche conosciuto come GDPR, è entrato in vigore il 25 maggio 2018 e ha rivoluzionato il modo in cui le organizzazioni trattano i dati personali dei cittadini dell’Unione Europea. Lo scopo principale di tale documento normativo è quello di garantire una maggiore protezione dei dati personali e la promozione della trasparenza nell’uso di tali dati.

L’articolo 17 del GDPR, noto come il diritto all’oblio, si inserisce in questo contesto, fornendo agli individui un potente strumento per il controllo delle proprie informazioni personali online. Ed infatti, l’art 17 del GDPR stabilisce che cancellare notizie da Google è funzionale per ottenere il diritto all’oblio. Quest’ultimo concede alle persone il potere di richiedere la cancellazione dei propri dati personali da parte di un’organizzazione o un motore di ricerca.

Questo diritto sottolinea l’idea che i dati personali devono essere trattati in modo lecito e che, in determinate circostanze, le persone dovrebbero essere in grado di “rimuovere” il proprio passato digitale. Questo articolo pone la privacy individuale al centro delle preoccupazioni e mira a bilanciare il diritto all’informazione con il diritto alla protezione dei dati personali.

I criteri per la rimozione dei dati personali

Il diritto all’oblio, ai sensi del già citato art. 17, si applica in specifiche situazioni:

  • Quando i dati personali non sono più necessari per le finalità per cui sono stati raccolti.
  • Quando una persona ritira il proprio consenso all’elaborazione dei dati.
  • Quando i dati personali sono stati trattati illegalmente.
  • Quando la persona si oppone al trattamento dei dati e non vi sono motivi legittimi prevalenti per continuare il trattamento.
  • Quando i dati personali devono essere cancellati per adempiere a un obbligo legale.

Questi criteri delineano le circostanze in cui una persona ha il diritto di richiedere la cancellazione dei propri dati personali. È importante notare che il diritto all’oblio non è assoluto e deve essere bilanciato con altri diritti, come il diritto alla libertà di espressione e il diritto all’informazione.

Il ruolo del Garante privacy nella sicurezza dei dati online

Il Garante per la Privacy, noto anche come l’Autorità di Controllo, svolge un ruolo cruciale nell’applicazione dell’Articolo 17 del GDPR. Ogni Stato membro dell’Unione Europea ha la propria autorità di controllo, incaricata di monitorare e far rispettare le leggi sulla protezione dei dati e di agire come organo di vigilanza indipendente.

Il Garante per la Privacy ha diverse responsabilità. Tra le più rilevanti, è possibile menzionare:

  • vigilare sul rispetto delle leggi sulla protezione dei dati, attraverso operazioni di verifica delle normative privacy.
  • fornire orientamenti e consulenza sia alle organizzazioni, come i motori di ricerca, sia ai cittadini in merito alle questioni legate alla protezione dei dati (ad esempio, le modalità utili per spiegare come applicare il diritto all’oblio in situazioni specifiche).
  • ricezione dei reclami da parte degli utenti, laddove ritengano che i propri diritti relativi alla protezione dei dati siano stati violati. Il Garante indaga su queste lamentele e, se necessario, prende provvedimenti.
  •  imporre sanzioni alle organizzazioni che non rispettano le leggi sulla protezione dei dati. Esse possono variare in base alla gravità delle trasgressioni.

Il Garante si esprime sulla annosa controversia dell’oblio digitale: tra privacy e informazione pubblica

L’interessata, nel caso in questione, ha lamentato il danneggiamento della sua immagine professionale e della sua privacy. La causa è da attribuire alla persistente diffusione del suo nome, associato a notizie di cronaca giudiziaria e contenute in articoli risalenti al 1998, che si sono concluse con un’assoluzione nel 2006.

Google ha avanzato le seguenti argomentazioni:

  • Ha sostenuto che le richieste relative agli URL indicati al terzo e quarto punto del ricorso sono inammissibili, in quanto non sono state oggetto di interpello preventivo, ma sono state comunicate per la prima volta attraverso il ricorso.
  • Riguardo agli URL indicati al primo e secondo punto del ricorso, Google ha ritenuto persista un interesse pubblico alla reperibilità delle informazioni, in quanto i procedimenti in cui è coinvolta l’interessata si sono conclusi nel secondo decennio degli anni 2000. Inoltre, Google ha sottolineato che si tratta di reati gravi, come l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa continuata, al falso e al reato di bancarotta fraudolenta. Inoltre, l’interessata ha ricoperto un ruolo pubblico come amministratrice unica e liquidatrice di due diverse società.

Considerando che gli articoli pubblicati sugli URL in questione risalgono rispettivamente ad aprile 2005 e maggio 2007, trattano principalmente delle prime udienze dibattimentali del procedimento giudiziario contro l’interessata e non forniscono un resoconto aggiornato sull’esito del caso. Questa mancanza di aggiornamento è in contrasto con il principio di esattezza dei dati secondo il Codice e le Linee Guida.

La protezione della reputazione e del diritto all’identità personale

In breve, nel caso di specie, che qui si riporta in maniera integrale, il ricorrente ha evidenziato che alcuni articoli diffamatori pubblicati tra il 2006 e il 2011 su un blog sono ancora accessibili online e causano danni alla sua reputazione. Il gestore del blog è stato condannato in contumacia per diffamazione, a seguito delle denunce presentate da politici e professionisti vittime di campagne denigratorie.

Anche se il blog è chiuso, gli articoli rimangono accessibili tramite motori di ricerca. Il ricorrente ritiene che il suo diritto all’identità personale sia violato e ha richiesto la rimozione degli URL in questione, facendo riferimento all’art. 11 del Codice e alla sentenza “Costeja” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il Garante ha deciso di accogliere il ricorso, ordinando alla parte resistente di rimuovere gli URL entro venti giorni. Inoltre, è stata stabilita una cifra di 500 euro a titolo di spese, di cui 300 euro a carico del titolare del trattamento per i costi associati alla presentazione del ricorso, mentre la restante parte è stata compensata per motivi specifici legati alla situazione.

La battaglia per la reputazione online: il caso del ricorrente contro Google

Il ricorrente, nel caso di specie, è l’amministratore delegato di KW S.p.A., un’azienda che gestisce parcheggi pubblici a Genova. Si è lamentato del pregiudizio subito a causa di articoli pubblicati da un giornale riguardanti indagini giudiziarie. Queste coinvolgevano i manager di KW, tra cui l’ineressato stesso, avviate per presunti reati di estorsione, usura e truffa legati alla sosta nei parcheggi dell’azienda.

Inoltre, ha parlato che di minacce anonime, ricevute a seguito degli articoli. Il ricorrente ha intrapreso azioni legali contro l’editore del giornale e ha richiesto a Google di rimuovere gli URL correlati agli articoli, sostenendo la violazione del proprio diritto all’onore e alla reputazione.

Google ha respinto la richiesta del ricorrente,affermando che le richieste di rimozione non erano conformi alle leggi europee in materia di protezione dei dati. Inoltre, Google ha dichiarato di non avere l’obbligo di rimuovere risultati di ricerca senza una decisione dell’autorità giudiziaria.

L’interessato ha successivamente comunicato la rimozione dei contenuti dal sito sorgente, ma ha richiesto di eliminare l’associazione tra il suo nome e il termine “minacce” nell’autocomplete di Google, in quanto dannosa per la sua reputazione. Il Garante ha deciso di non prendere una decisione sui contenuti, poiché non erano più indicizzati da Google.

Tuttavia, ha accolto parzialmente la richiesta riguardante l’associazione con il termine “minacce” nell’autocomplete di Google e ha ordinato a Google di rimuoverla entro venti giorni. Inoltre, è stata stabilita una cifra di 500 euro a titolo di spese, di cui 200 euro a carico di Google a causa del parziale accoglimento del ricorso, mentre la restante parte è stata compensata per motivi specifici relativi alla situazione.

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